Ho fatto una seconda chiamata su Skype per raccontare le realtà che si trovano nel circuito di Delivery Roma e questa volta ho chiacchierato con Valerio Maiali. La prima cosa interessante da citare di lui è che è uno chef che prepara hamburger. La seconda è che ha aperto solo qualche giorno prima della chiusura delle attività a inizio Marzo. Gli ho chiesto di raccontarci quali sono i tasselli della sua vita che ha messo insieme nella creazione del locale e quali, invece, sono le conseguenze della situazione attuale.
[Intervista del 28/03/20]
Com’è nato “Rinomato” e perché?
Covavo l’idea di aprire un’attività mia da tempo ma, dopo aver aspettato 30 anni per farlo, non potevo scegliere periodo più sbagliato. Ho lavorato all’interno di vari locali – come Romeo della Chef Bowerman, Alfonso e Acqua Santa – e ho capito di voler lavorare per me, per potermi sentire più libero. A Capodanno parlavo con un amico del mio progetto di aprire una piccola hamburgheria. Da lì è successo tutto molto in fretta: ho trovato un posticino che faceva al caso mio, in budget e a 100m da casa mia. Mentre concludevo le trattative per comprarlo, mi immaginavo come avrei potuto arredarlo, quale poteva essere il menù e mi preoccupavo di come mi potesse rappresentare senza che fosse disordinato come me.
Quindi hai sviluppato il progetto molto velocemente. Che cos’hai scoperto di te buttandoti in questa sfida?
Sì, ho fatto tutto da solo e in 24 giorni. Sicuramente ho imparato di sapermela cavare a livello economico, imprenditoriale e nello sviluppo del menù. Ho capito anche che la mia priorità assoluta è portare il miglior risultato possibile con qualsiasi mezzo io abbia. Infatti ho fatto proprio questo: ho preso il piccolo gruzzoletto che avevo, ho comprato l’attività che paradossalmente era la meno quotata in zona e sto provando a trasformarla in una hamburgheria che possa avere un’identità sua e che possa nel tempo diventare un punto di riferimento per un po’ di persone.
Ripartiamo un po’ dall’inizio. Com’è iniziato il tuo percorso per diventare chef?
Sono cresciuto dentro alle cucine dei ristoranti: vengo da una famiglia di ristoratori, con due ristorantini nella provincia di Rieti. Ero molto curioso; infatti da piccolo mi fermavo ai tavoli a sentire la gente parlare. La cosa non è cambiata. Ho iniziato a lavorare in cucina e a fare il cameriere; così mi sono reso conto che ero bravo e che le cose mi venivano molto naturali. Quindi ho deciso di fare una scuola di cucina e, dopo quella, un’altra ancora. Poi mi è arrivata un’offerta per andare a lavorare a Dubai e siccome sembrava un’occasione unica, soprattutto a 19 anni, sono partito. Chiaramente, arrivando da un paesino di 80 abitanti, ero spaesatissimo: là erano tutti grattacieli, posti incredibili e macchinoni. È stata un’esperienza assurda e un po’ traumatica perché non me n’è andata bene nemmeno una. Lo chef del ristorante dove lavoravo mi insultava tutto il tempo. I colleghi me ne facevano di tutti i colori. Avevo una stanza senza finestre al 67esimo piano di un hotel. Facevano 35°- 40° tutti i giorni. Per concludere in bellezza, mi sono preso una specie di batterio che mi ha fatto stare malissimo e un’infermiera mi ha fatto una puntura senza che riuscissimo a capirci perché non parlavamo la stessa lingua. Passato un mese, sono scappato a casa che avevo perso 7 kg. Ora ripensandoci ci rido su ma se mai tornerò a Dubai sarà solo per farci una grande vacanza. La cosa più curiosa è che lo chef con cui lavoravo là, quando è tornato a Roma, mi ha chiamato a lavorare con lui e siamo diventati amici stretti. In un certo senso mi sono preso la mia soddisfazione e sono riuscito a lavorarci meglio, anche perché da Alfredo mi trovavo bene con il resto del team.
A causa del Coronavirus, come dicevi prima, hai chiuso pochi giorni dopo aver aperto. In che situazione ti sei trovato?
La prima conseguenza al Coronavirus è stata la mancanza dell’inaugurazione dell’attività. Volevo accogliere le persone in casa mia e quindi ci tenevo a trovarmi a mio agio in cucina e nel locale, cosa che in meno di una settimana sarebbe stato impossibile. Quindi mi è mancato proprio il tempo per riuscirci. In generale, mi sono trovato in una situazione per cui, ogni passo in avanti che facevo, mi ritrovavo a farne due indietro. È iniziato tutto con la chiusura della scuola e della discoteca qua vicini, tra i motivi per cui comprare un’attività qui mi è sembrata una buona idea. Poi, non potendo nemmeno far girare dei volantini, mi sono trovato con le spalle al muro. Ho deciso di collaborare con il progetto Delivery Roma in modo da fare un po’ di pubblicità al locale e per riuscire a fare qualche consegna.
E quindi come sta andando con le consegne?
Per il momento ne ho fatte un centinaio e sono contento di averlo potuto fare, soprattutto perché una ragazza mi ha scritto tra le note “Grazie per essere aperti”. Questa cosa mi ha fatto molto piacere e le ho mandato un tiramisù omaggio, anche perché ho dedotto dagli orari che sta continuando lavorare fuori casa e ci tenevo a ringraziarla come potevo per questo. L’altra fortuna è che chi ha avuto modo di venire prima che il ristorante chiudesse sta continuando ad ordinare da casa. Tra questi una famiglia che vive qui vicino. I figli, che avranno avuto 12 e 10 anni, sono venuti qui da soli la prima volta. Mi hanno dato i loro soldini e hanno preso due hamburger. Il fratello maggiore era molto curioso che gli raccontassi del cibo e io, per farli contenti, gli ho offerto un pezzo di torta. A fine giornata si è fermato un signore con la spesa in mano e mi ha detto: “Ti devo dire una cosa. Oggi mi hanno telefonato i miei figli e mi hanno fatto perdere mezz’ora per dirmi quanto fosse buono questo hamburger”. Ovviamente è stata una grande soddisfazione.
Ed ecco che una domanda sorge spontanea: perché hai deciso di aprire un locale di hamburger?
L’hamburger è un prodotto che a me piace molto perché unisce un po’ lo street food alla materia prima di qualità; puoi sempre cambiare il menù creando gli abbinamenti con i prodotti stagionali. In più il locale, commercialmente parlando, abbraccia una clientela che ha la nostra età – tra i 20 e i 35 anni – con cui posso facilmente rapportarmi a livello personale viste le parecchie cose che si condividono grazie all’età. In realtà non mi voglio limitare ai panini, infatti sto pensando di proporre anche una formula per l’aperitivo e di offrire qualche piatto per dare varietà a chi lavora negli uffici intorno e mangia qui. Il locale è piccino ma vorrei creare un posto dove la gente viene perché si mangia molto bene e, soprattutto, un luogo di incontro per le persone che sia un po’ come casa loro.
Puntando tutto sulla qualità degli ingredienti, come li scegli?
Sto ancora modificando qualche ingrediente, in realtà. Da poco ho cambiato il pane e a breve cambierò anche il fornitore di olio e carne. Voglio proporre prodotti che sono di alta qualità e che abbiano già un richiamo importante a livello commerciale – tipo la macelleria di Galli. Penso che poi sia questo il motivo principale per cui qualcuno decide di venire qui piuttosto che in un altro posto. Poi mi premuro di creare un contesto in cui ti prendi la tua birretta (o quello che preferisci), ti siedi fuori tranquillo e ti scegli la canzone che vuoi ascoltare. L’obiettivo è che la gente ci si trovi bene.
Quali sono quindi, nella tua esperienza, le caratteristiche di un locale in cui stai bene?
Ci ho riflettuto molto siccome, prima di essere commerciante, sono cliente. Penso che le cose assolutamente fondamentali siano due: il cibo e il servizio. Nel primo caso è sicuramente importante offrire qualcosa di qualità ma, lo è altrettanto, il saperlo valorizzare. Per il resto, apprezzo molto quando vedo che c’è interesse ad assecondare il cliente, quando gli si porge il piatto con un sorriso e gli si fa fare una risata. In generale, è bello sentirsi presi in considerazione in quanto clienti.
Se siete curiosi di sapere di più, trovate qui anche un’intervista live con Valerio e Marco Sabatini:
Contatti Rinomato San Giovanni:
Tel: 068 780 9241
Indirizzo: Via Soana 30, Roma
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