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Intervista a Silvia Anedda di Lady Bar

Silvia ed io ci siamo fatte una chiacchierata, dopo i suoi 22-23 km giornalieri a Boccea tra i banchi del mercato e i negozi che costellano il suo Lady Bar. Mi racconta che lei e i suoi collaboratori facevano consegne a domicilio anche prima della pandemia, ma adesso la mole di lavoro è sensibilmente aumentata. Nonostante la stanchezza della lunga giornata, iniziata come sempre alle sei e che solo qualche volta a settimana prevede qualche pomeriggio off, Silvia è super disponibile e gentilissima nel rispondere alle mie domande.

Articolo di Loriana Aiello

  [Intervista del 07/05/20]

Ti va di raccontarmi qualcosa su di te e di come ti sei trovata a lavorare al bar?

Io non ho mai immaginato di stare al bar, mio padre si trasferì a Roma da un piccolo paese della Sardegna così come gli altri suoi fratelli. Andò a lavorare nel bar del nonno materno a Boccea, a pochi passi dall’attuale Lady Bar, sempre in zona Mercato.

Mia madre aveva appena 15 anni quando lo conobbe, era il ragazzo delle consegne. Il bar è poi rimasto al fratello di mamma e a mamma; i miei genitori hanno proseguito in quel bar per un po’, dopodiché hanno preferito prendere questo piccolo bar.

Io mi sono laureata in Restauro, ma si sa che in Italia l’arte non viene valorizzata e non si va avanti per merito.

Quindi, dopo vari tentativi, quando i miei presero questo bar, mi chiesero se volessi dar loro una mano e così mi unii a loro. Precedentemente avevo già lavorato nel bar degli zii: si sa, se si ha un bar, si collabora un po’ tutti, alla fine. Passavamo tantissimo tempo lì!

E così è nato Lady Bar. Come mai avete scelto questo nome?

Sì. Quando abbiamo preso il bar, questo aveva un orario più corto. Pian piano mi sono fatta conoscere, ma sono stata praticamente catapultata in un mondo molto particolare, quello del mercato, dove devi farti accettare e questo non è per niente facile, tra l’altro formato da quasi tutti uomini, ma alla fine li ho conquistati.

Ho iniziato trovando una ragazza che mi aiutasse, poi un’altra e adesso siamo in tre fisse. Serviamo i banchi e quasi tutta Boccea; facciamo consegne, ma non solo: siamo come una famiglia. Ladybar si trova all’inizio della strada in cui inizia il mercato, in un contesto molto particolare e che da sempre è stato basato sul sistema delle consegne; per questo per noi è stato sempre normale! Ora ci sono ovviamente molti meno banchi, troviamo soprattutto quelli di prima necessità. Siamo una famiglia perché abbiamo i nostri giri prestabiliti, come quello della colazione e poi durante la giornata facciamo molti altri giri, in base alle richieste.

Conosco tutti oramai, da 10 anni mi trovo qui, quindi se passando mi chiedono un caffè, ci organizziamo tramite il nostro gruppo WhatsApp e la prima che può va, così che la consegna risulti rapida.

In realtà Lady Bar era il nome dato dalla famiglia che lo gestiva precedentemente, famiglia formata da mamma figlia e papà – che stava al bancone – quindi probabilmente il nome deriva dalla presenza di più donne; noi l’abbiamo mantenuto, essendoci tre donne a lavorare.

Il logo ha infatti questa testa dorata, come fosse la testa di un cammeo.

Parlando invece del mercato, cosa significa convivere e lavorare con un mondo così peculiare?

Quando cambia la gestione di un bar e soprattutto quando c’è la presenza di una nuova ragazza al bar, in un contesto come quello del mercato, tutto viene amplificato. All’inizio non è stato facile, ma poi si è creato un rapporto di estrema fiducia e di rispetto anche verso i miei genitori.

È un mondo particolare, si apre alle 4:30 per montare i banchi, consegni in qualunque condizione atmosferica, con K-way e con 0 gradi.

Ho scoperto che all’esterno del bar si trova un murales incantevole. Qual è la sua storia e quella dell’artista?

Il murales è stato realizzato da Carlo Gori. Carlo ha raffigurato in maniera stilizzata le facce degli attori del mercato, i volti di chi lo vive giorno dopo giorno.

E’ molto famoso in Giappone e Cina, uno di quegli artisti apprezzati all’estero ma non Italia; sta rallegrando il quartiere con dei murales attraverso un progetto continuo che porta avanti con Lello Melchionda, con l’idea di creare un percorso in tutta la circoscrizione.

Famosi sono il murales sulla storia di Annarella, una bimba uccisa dai nazisti, quello che rappresenta Alberto Sordi e un altro su Carlo Verdone.

Tuo papà è una figura importante a Boccea. Me ne vuoi parlare un po’?

Gino è un’istituzione qui a Boccea; io sono nata nel bar e sono cresciuta vivendo il quartiere. Oggi c’è una forte presenza sul territorio di minimarket di bengalesi che chiamano papà e mamma “zio e zia”, per il rispetto che nutrono verso i miei genitori. Per noi ciò è particolarmente sentito perché in Sardegna, nelle mie zone, chiamare qualcuno zio e zia ha la stessa valenza.

È conosciuto come Zio Cappu(Gino), per i suoi fantastici caffè e cappuccini. È un barista vecchio stampo, con le sue regole, all’inizio un po’ restio alle innovazioni o cambiamenti che gli propongo: pensa te con la crema di caffè o le centrifughe! Però dopo un po’ si fida e accetta di buon grado il cambiamento.

 

Che dire, anche se solo virtualmente, parlare con Silvia è stato un toccasana, non al pari dei maritozzi del Lady Bar, ma quasi.

 

Se siete curiosi di sapere di più, trovate qui anche un’intervista live con Silvia e Marco Sabatini:

 

Contatti Lady Bar:

Tel: 346 477 8911

Indirizzo: Via Urbano II 9/11, Roma

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